Onomastica iblea: l'affascinante storia dei nostri nomi e cognomi (Ragusa Sottosopra n. 3 - 7 giugno 2011)
Onomastica iblea: l'affascinante storia dei nostri nomi e cognomi
di Saro Distefano
Lo abbiamo pensato in molti, se non tutti. Lo hanno fatto in pochi, pochissimi. Cosa? La ricerca delle radici della propria famiglia. È una diffusa curiosità quella di sapere chi fossero i nostri avi, da dove venissero, quale il loro lavoro o professione, quali i loro nomi.
Una curiosità che alcune famiglie aristocratiche possono soddisfare senza sforzi, posto che in quasi tutti i salotti dei palazzi patrizi campeggia orgoglioso di sé quel grande foglio incorniciato che si chiama “albero genealogico”. Generalmente rappresentato proprio in forma di monumentale e vetusto albero (più è vecchio e maggiore è l'importanza della famiglia rappresentata), alla base del tronco reca inciso il nome del fondatore conosciuto della dinastia, per poi rimpicciolirsi necessariamente nei piccoli rami delle più recenti fronde, coi nomi dei figli del proprietario della casa e del quadro, tenuto dall'antico dovere a perpetuare il ricordo proprio con l'aggiornamento dell'albero, dove tutti dovranno essere citati, in quanto rami, appunto, della grande famiglia che si vanta di discendere quasi sempre da guerrieri normanni venuti nel sole mediterraneo al seguito del Gran Conte Ruggero. Per tutti gli altri non esiste né potrebbe esistere un albero genealogico “rappresentato”, poiché solo un paio di generazioni addietro era raro trovare un uomo alfabetizzato (e di norma era il notaio del paese) e ancora più raro, praticamente impossibile, una donna che sapesse solo mettere per iscritto la propria firma. Ecco spiegata la curiosità, legittima e per certi versi auspicabile, di ripercorrere all'indietro i passi fatti dalla propria famiglia. Si inizia con le memorie recenti, quelle dei nonni e dei bisnonni - se viventi - come ha spiegato Francesco Barrera, storico di Pozzallo, nel suo intervento alla conferenza su “Onomastica Iblea, l'affascinante storia dei nostri nomi e cognomi”, organizzata dal Cral della Banca Agricola Popolare di Ragusa al Palazzo Garofalo.
“É fondamentale raccogliere quanti più ricordi è possibile - ha riferito Barrera, autore di una monumentale opera di ricostruzione della storia di tutte le famiglie di Pozzallo dalla fine del 1600 ad oggi - sia quelli semplicemente verbali, riguardanti le vicende della famiglia, i nomi ed i cognomi dei nonni e dei trisavoli e sia, se esistono, anche i documenti della famiglia, parlo dei testamenti, delle carte relative ad acquisti immobiliari, transazioni commerciali, atti di nascita (quasi sempre sostituiti dagli atti di battesimo) e di matrimonio. Per andare più indietro nel tempo - ha dettagliato lo storico pozzallese - è necessario indagare, perché di indagine si tratta, per quanto divertente ma per nulla facile, negli archivi comunali, e si arriva ai primi dell'800 se si è fortunati, e poi negli archivi parrocchiali. Solo in questo modo è possibile ricostruire la storia della propria famiglia per almeno una decina di generazioni”.
Intrigante l'intervento di Carlo Blangiforti, linguista e storico della città di Mineo, che ha condotto una vasta e completa analisi dell'evoluzione dei nomi propri dei siciliani. Una ricerca che lo studioso menenino ha voluto approfondire - per l'occasione fornita dal dopolavoro dei bancari ragusani - proprio per il capoluogo ibleo: “Il 1630 segna un preciso momento storico nell'attribuzione dei nomi di battesimo ai bambini siciliani - ha riferito Blangiforti - perché in quell'anno Papa Urbano impose a tutte le città cristiane di scegliere un solo santo patrono (infatti, nella antica storia religiosa, erano poche le cittadine con una sola chiesa parrocchiale, con un solo santo a proteggerne i fedeli, mentre Palermo, per fare un esempio, vantava cinque santi protettori).
Obbligati a scegliere un solo santo da elevare nel più alto degli altari della chiesa madre, i siciliani ebbero a quel punto una scelta molto più ridotta per il nome da imporre al nascituro.
E se fino ad allora - ha spiegato Blangiforti - erano tantissime le donne siciliane con nomi oggi sconosciuti e dimenticati, per esempio Diamante, Perla, Astilia, Domitilla, Sofonisba, nell'arco di un paio di generazioni il nome femminile più diffuso divenne Maria con le varianti dettate dalle diverse caratteristiche delle Madonne venerate nei paesi. Ecco quindi nomi che oggi sono moderatamente diffusi, ma che furono monopolizzanti fino a poche generazioni fa, ovvero Catena, Crocifissa, Letteria.” Numerose le sorprese nell'ascoltare il linguista relativamente ai nomi propri dei ragusani di oggi: “É vero che sono andati rapidamente diffondendosi alcuni nomi non provenienti dalla nostra tradizione e legati al mondo anglosassone per via del cinema e della televisione, ma è pur vero che rimangono sempre la gran parte, circa il 75%, i nomi di origine religiosa. E in tutta la Sicilia, anche nella provincia di Ragusa, i nomi propri maschili più diffusi sono tuttora, esattamente come nel resto del Paese, Giuseppe, Antonio e Giovanni (il nome del nostro Santo protettore è anche il nome proprio più diffuso nel mondo, tra John, Juan, Jean, Johannes e Joao). Con i flussi migratori che da queste parti non sono recentissimi - ha poi continuato Blangifort - sono arrivati anche nomi stranieri. Ho personalmente condotto uno studio che non può essere definito scientificamente inappuntabile ma che assicuro è stato sviluppato in maniera tanto empirica quanto seria presso la scuola Pascoli di Ragusa, quella, per intenderci, a maggiore presenza di studenti figli di immigrati più o meno recenti e di diversa provenienza geografica. Bene, su centodieci bambini, poco meno di un terzo, esattamente trentatre, hanno nomi stranieri, in gran parte maghrebini e dell'Europa dell'Est. I ragazzi cinesi - ha concluso Blangiforti - che mantengono all'anagrafe i loro nomi originali ma a noi incomprensibili, usano quali pseudonimi i nomi dei loro coetanei indigeni.” L'intervento di Giorgio Veninata ha avuto per tema i cognomi, si intendono quelli siciliani ma, evidentemente, con un particolare approfondimento per quelli ragusani. E Veninata non ha deluso i tanti che erano curiosi, come sempre in queste occasioni, di capire di più su cosa significa e possibilmente da dove proviene quel Tumino o Distefano, Ca-scone o Licitra, Occhipinti o Battaglia che sono non soltanto i cognomi insieme ad altri tipicamente ragusani, ma che lo sono da secoli, come dimostrano i documenti archivistici che ne riportano la loro presenza per esempio negli atti notarili rogati in occasione di compravendite di terreni o animali, eredità e diritti sin dalla prima metà del '500.“Se è facile individuare e spiegare i cognomi cosiddetti patronimici - ha esordito Veninata - e si intendono i tanti Di Stefano, Di Martino, Di Lorenzo, Di Pasquale (ma anche Lissandrello, cioè figlio di Alessandro, reso irriconoscibile dopo le tante trasformazioni avvenute nei secoli) è altrettanto semplice individuare i cognomi derivati dai fatti e dagli elementi naturali come quelli collegati alla provenienza geografica: quindi i Leone, Lupis o Lupo, Giglio, Campo, Sbezzi (nel senso di spezie), Pluchino (nel senso di pulce) e Palumbo, Avola, Calabrese, Puglisi o Arezzo.
Semplice anche risalire al significato dei nostri cognomi legati all'attività svolta dai componenti quella specifica famiglia, per esempio i Bocchieri (direttamente derivante dal francese “boucher”, ossia macellaio), Ferrera o Ferrari (evidente il collegamento con l'arte del fabbro), Iacono, Lo Monaco, Parrino e Lo Presti (tutti legati alla sfera del sacerdozio), più difficile è stato individuare provenienza e significato dei nostri cognomi evidentemente arabi e sopratutto ebraici.”
È verosimile che molti ragusani con cognomi diffusi e conosciuti quali Burrafato, Cabibbo, Amato, Azzara, Cassì, Cassisi, Ioppulo, Liuzzo, Sammito, Sciacca, Zacco e Xiumè non sappiano di essere gli eredi di quegli israeliti che nel 1492, appena siglato l'editto dai cattolicissimi sovrani castigliani, divennero dalla sera alla mattina non più cittadini, per quanto “di serie B”, ma sgraditi ospiti del Regno ai quali venne concesso solo qualche mese per scegliere: battezzarsi e quindi rimanere, o prendere il mare per raggiungere regni più tolleranti.
“Dalle nostre parti - ha dichiarato Giorgio Veninata - furono pochissimi gli israeliti che presero la strada per Pozzallo dove li attendevano in verità poche barche per l'oltre-mare. La grande maggioranza, che abitava tutto intorno alla sinagoga, poi diventata chiesa dell'Annunziata dell'odierna Ibla, non volle abbandonare la terra dove viveva e lavorava da almeno un millennio.”
Com'era nelle previsioni, sono stati in tanti a interrogare Giorgio Veninata intorno al significato di cognomi che lo storico ha dichiarato di non poter spiegare, e su tutti i tanto diffusi Cascone e Criscione.
Così come gli Occhipinti, consci del facile significato del loro cognome, hanno aperto un altro e altrettanto interessante capitolo della locale onomastica, ovvero i soprannomi, meglio conosciuti da queste parti come le “'nciurie”. A quel punto lo storico ha precisato che questa “smania” del cognome, del suo significato e della discendenza, è fatto sostanzialmente recente, risalente ai primi dell'800. “Fino a quel momento - ha detto Veninata - alla corruzione di Beninata, un tipico cognome augurale non ci si faceva troppo caso”.
Nelle famiglie nobili il cognome si tramandava con lo stemma (che spesso era creato ad hoc nel momento in cui la famiglia assumeva il titolo nobiliare) e nelle famiglie del popolo il co-gnome era molto spesso sostituito, certamente nella parlata e poi anche nei documenti, dalla 'nciuria. A Ragusa il caso più famoso di sostituzione del cognome col soprannome è Leggio. Questo era infatti un soprannome di evidente significato, cioè “leggero”. Ed era la 'nciuria della famiglia Piluso, o anche Peluso. “Un documento che ho trovato nell'archivio comunale - ha raccontato lo storico - databile alla metà del '600, è utile per togliere ogni eventuale dubbio, perché vi si legge molto chiaramente: Josephe Piluso, poi una barra a cancellare, ma senza riuscirci se non parzialmente, il cognome, evidentemente ritenuto poco elegante, e la scritta in bella evidenza Leggio”. Chiudendo i lavori, ai molti che chiedevano suggerimenti e utili indicazioni per poter affrontare la complessa ma gratificante ricerca delle proprie origini, tutti e tre i relatori hanno fornito consigli e nel contempo anche un necessario avvertimento: “non a tutti è dato risalire nei secoli seguendo la storia della propria famiglia. In tanti, molti di più di quanto si possa immaginare, chiudono il capitolo dopo sole un paio di generazioni con un inappellabile “figlio di NN”.Lo abbiamo pensato in molti, se non tutti. Lo hanno fatto in pochi, pochissimi. Cosa? La ricerca delle radici della propria famiglia. È una diffusa curiosità quella di sapere chi fossero i nostri avi, da dove venissero, quale il loro lavoro o professione, quali i loro nomi.
Una curiosità che alcune famiglie aristocratiche possono soddisfare senza sforzi, posto che in quasi tutti i salotti dei palazzi patrizi campeggia orgoglioso di sé quel grande foglio incorniciato che si chiama “albero genealogico”. Generalmente rappresentato proprio in forma di monumentale e vetusto albero (più è vecchio e maggiore è l'importanza della famiglia rappresentata), alla base del tronco reca inciso il nome del fondatore conosciuto della dinastia, per poi rimpicciolirsi necessariamente nei piccoli rami delle più recenti fronde, coi nomi dei figli del proprietario della casa e del quadro, tenuto dall'antico dovere a perpetuare il ricordo proprio con l'aggiornamento dell'albero, dove tutti dovranno essere citati, in quanto rami, appunto, della grande famiglia che si vanta di discendere quasi sempre da guerrieri normanni venuti nel sole mediterraneo al seguito del Gran Conte Ruggero. Per tutti gli altri non esiste né potrebbe esistere un albero genealogico “rappresentato”, poiché solo un paio di generazioni addietro era raro trovare un uomo alfabetizzato (e di norma era il notaio del paese) e ancora più raro, praticamente impossibile, una donna che sapesse solo mettere per iscritto la propria firma. Ecco spiegata la curiosità, legittima e per certi versi auspicabile, di ripercorrere all'indietro i passi fatti dalla propria famiglia. Si inizia con le memorie recenti, quelle dei nonni e dei bisnonni - se viventi - come ha spiegato Francesco Barrera, storico di Pozzallo, nel suo intervento alla conferenza su “Onomastica Iblea, l'affascinante storia dei nostri nomi e cognomi”, organizzata dal Cral della Banca Agricola Popolare di Ragusa al Palazzo Garofalo.
“É fondamentale raccogliere quanti più ricordi è possibile - ha riferito Barrera, autore di una monumentale opera di ricostruzione della storia di tutte le famiglie di Pozzallo dalla fine del 1600 ad oggi - sia quelli semplicemente verbali, riguardanti le vicende della famiglia, i nomi ed i cognomi dei nonni e dei trisavoli e sia, se esistono, anche i documenti della famiglia, parlo dei testamenti, delle carte relative ad acquisti immobiliari, transazioni commerciali, atti di nascita (quasi sempre sostituiti dagli atti di battesimo) e di matrimonio. Per andare più indietro nel tempo - ha dettagliato lo storico pozzallese - è necessario indagare, perché di indagine si tratta, per quanto divertente ma per nulla facile, negli archivi comunali, e si arriva ai primi dell'800 se si è fortunati, e poi negli archivi parrocchiali. Solo in questo modo è possibile ricostruire la storia della propria famiglia per almeno una decina di generazioni”.
Intrigante l'intervento di Carlo Blangiforti, linguista e storico della città di Mineo, che ha condotto una vasta e completa analisi dell'evoluzione dei nomi propri dei siciliani. Una ricerca che lo studioso menenino ha voluto approfondire - per l'occasione fornita dal dopolavoro dei bancari ragusani - proprio per il capoluogo ibleo: “Il 1630 segna un preciso momento storico nell'attribuzione dei nomi di battesimo ai bambini siciliani - ha riferito Blangiforti - perché in quell'anno Papa Urbano impose a tutte le città cristiane di scegliere un solo santo patrono (infatti, nella antica storia religiosa, erano poche le cittadine con una sola chiesa parrocchiale, con un solo santo a proteggerne i fedeli, mentre Palermo, per fare un esempio, vantava cinque santi protettori).
Obbligati a scegliere un solo santo da elevare nel più alto degli altari della chiesa madre, i siciliani ebbero a quel punto una scelta molto più ridotta per il nome da imporre al nascituro.
E se fino ad allora - ha spiegato Blangiforti - erano tantissime le donne siciliane con nomi oggi sconosciuti e dimenticati, per esempio Diamante, Perla, Astilia, Domitilla, Sofonisba, nell'arco di un paio di generazioni il nome femminile più diffuso divenne Maria con le varianti dettate dalle diverse caratteristiche delle Madonne venerate nei paesi. Ecco quindi nomi che oggi sono moderatamente diffusi, ma che furono monopolizzanti fino a poche generazioni fa, ovvero Catena, Crocifissa, Letteria.” Numerose le sorprese nell'ascoltare il linguista relativamente ai nomi propri dei ragusani di oggi: “É vero che sono andati rapidamente diffondendosi alcuni nomi non provenienti dalla nostra tradizione e legati al mondo anglosassone per via del cinema e della televisione, ma è pur vero che rimangono sempre la gran parte, circa il 75%, i nomi di origine religiosa. E in tutta la Sicilia, anche nella provincia di Ragusa, i nomi propri maschili più diffusi sono tuttora, esattamente come nel resto del Paese, Giuseppe, Antonio e Giovanni (il nome del nostro Santo protettore è anche il nome proprio più diffuso nel mondo, tra John, Juan, Jean, Johannes e Joao). Con i flussi migratori che da queste parti non sono recentissimi - ha poi continuato Blangifort - sono arrivati anche nomi stranieri. Ho personalmente condotto uno studio che non può essere definito scientificamente inappuntabile ma che assicuro è stato sviluppato in maniera tanto empirica quanto seria presso la scuola Pascoli di Ragusa, quella, per intenderci, a maggiore presenza di studenti figli di immigrati più o meno recenti e di diversa provenienza geografica. Bene, su centodieci bambini, poco meno di un terzo, esattamente trentatre, hanno nomi stranieri, in gran parte maghrebini e dell'Europa dell'Est. I ragazzi cinesi - ha concluso Blangiforti - che mantengono all'anagrafe i loro nomi originali ma a noi incomprensibili, usano quali pseudonimi i nomi dei loro coetanei indigeni.” L'intervento di Giorgio Veninata ha avuto per tema i cognomi, si intendono quelli siciliani ma, evidentemente, con un particolare approfondimento per quelli ragusani. E Veninata non ha deluso i tanti che erano curiosi, come sempre in queste occasioni, di capire di più su cosa significa e possibilmente da dove proviene quel Tumino o Distefano, Ca-scone o Licitra, Occhipinti o Battaglia che sono non soltanto i cognomi insieme ad altri tipicamente ragusani, ma che lo sono da secoli, come dimostrano i documenti archivistici che ne riportano la loro presenza per esempio negli atti notarili rogati in occasione di compravendite di terreni o animali, eredità e diritti sin dalla prima metà del '500.“Se è facile individuare e spiegare i cognomi cosiddetti patronimici - ha esordito Veninata - e si intendono i tanti Di Stefano, Di Martino, Di Lorenzo, Di Pasquale (ma anche Lissandrello, cioè figlio di Alessandro, reso irriconoscibile dopo le tante trasformazioni avvenute nei secoli) è altrettanto semplice individuare i cognomi derivati dai fatti e dagli elementi naturali come quelli collegati alla provenienza geografica: quindi i Leone, Lupis o Lupo, Giglio, Campo, Sbezzi (nel senso di spezie), Pluchino (nel senso di pulce) e Palumbo, Avola, Calabrese, Puglisi o Arezzo.
Semplice anche risalire al significato dei nostri cognomi legati all'attività svolta dai componenti quella specifica famiglia, per esempio i Bocchieri (direttamente derivante dal francese “boucher”, ossia macellaio), Ferrera o Ferrari (evidente il collegamento con l'arte del fabbro), Iacono, Lo Monaco, Parrino e Lo Presti (tutti legati alla sfera del sacerdozio), più difficile è stato individuare provenienza e significato dei nostri cognomi evidentemente arabi e sopratutto ebraici.”
È verosimile che molti ragusani con cognomi diffusi e conosciuti quali Burrafato, Cabibbo, Amato, Azzara, Cassì, Cassisi, Ioppulo, Liuzzo, Sammito, Sciacca, Zacco e Xiumè non sappiano di essere gli eredi di quegli israeliti che nel 1492, appena siglato l'editto dai cattolicissimi sovrani castigliani, divennero dalla sera alla mattina non più cittadini, per quanto “di serie B”, ma sgraditi ospiti del Regno ai quali venne concesso solo qualche mese per scegliere: battezzarsi e quindi rimanere, o prendere il mare per raggiungere regni più tolleranti.
“Dalle nostre parti - ha dichiarato Giorgio Veninata - furono pochissimi gli israeliti che presero la strada per Pozzallo dove li attendevano in verità poche barche per l'oltre-mare. La grande maggioranza, che abitava tutto intorno alla sinagoga, poi diventata chiesa dell'Annunziata dell'odierna Ibla, non volle abbandonare la terra dove viveva e lavorava da almeno un millennio.”
Com'era nelle previsioni, sono stati in tanti a interrogare Giorgio Veninata intorno al significato di cognomi che lo storico ha dichiarato di non poter spiegare, e su tutti i tanto diffusi Cascone e Criscione.
Così come gli Occhipinti, consci del facile significato del loro cognome, hanno aperto un altro e altrettanto interessante capitolo della locale onomastica, ovvero i soprannomi, meglio conosciuti da queste parti come le “'nciurie”. A quel punto lo storico ha precisato che questa “smania” del cognome, del suo significato e della discendenza, è fatto sostanzialmente recente, risalente ai primi dell'800. “Fino a quel momento - ha detto Veninata - alla corruzione di Beninata, un tipico cognome augurale non ci si faceva troppo caso”.
Nelle famiglie nobili il cognome si tramandava con lo stemma (che spesso era creato ad hoc nel momento in cui la famiglia assumeva il titolo nobiliare) e nelle famiglie del popolo il co-gnome era molto spesso sostituito, certamente nella parlata e poi anche nei documenti, dalla 'nciuria. A Ragusa il caso più famoso di sostituzione del cognome col soprannome è Leggio. Questo era infatti un soprannome di evidente significato, cioè “leggero”. Ed era la 'nciuria della famiglia Piluso, o anche Peluso. “Un documento che ho trovato nell'archivio comunale - ha raccontato lo storico - databile alla metà del '600, è utile per togliere ogni eventuale dubbio, perché vi si legge molto chiaramente: Josephe Piluso, poi una barra a cancellare, ma senza riuscirci se non parzialmente, il cognome, evidentemente ritenuto poco elegante, e la scritta in bella evidenza Leggio”. Chiudendo i lavori, ai molti che chiedevano suggerimenti e utili indicazioni per poter affrontare la complessa ma gratificante ricerca delle proprie origini, tutti e tre i relatori hanno fornito consigli e nel contempo anche un necessario avvertimento: “non a tutti è dato risalire nei secoli seguendo la storia della propria famiglia. In tanti, molti di più di quanto si possa immaginare, chiudono il capitolo dopo sole un paio di generazioni con un inappellabile “figlio di NN” .