Benedetto Cirmeni

(Mineo, 1854 - Roma 1935)

Il politico giornalista "nemico" di Bismarck

"Nato a Mineo (Catania), il 23 ag. 1854, da Arcangelo e Maria Antonia Simili, studiò giurisprudenza nella università di Roma, iniziando intanto a praticare il giornalismo. Dopo la laurea, vinse un concorso di perfezionamento all'esteto e, nell'autunno del 1882, si trasferì a Berlino, dove seguì le lezioni di celebri giuristi, quali il romanista R. von Gneist e il commercialista L. Goldschmidt. Frequentò importanti circoli culturali e politici, e divenne una delle figure di maggior spicco della colonia italiana, che organizzò in un'associazione da lui stesso presieduta. Da Berlino inviava corrispondenze ai quotidiani italiani Il Diritto e Capitan Fracassa di Roma, la Gazzetta del popolo di Torino, il Giornale di Sicilia di Palermo.
Al suo nome toccò una improvvisa notorietà internazionale quando, il 26 dic. 1884, egli fu espulso dalla Prussia con la generica imputazione . di. avere redatto articoli germanofobi. La misura apparve sorprendente e inesplicabile in quanto il C., convinto triplicista, benvoluto da Crispi, era ritenuto un estimatore perfino eccessivo della Germania e della politica bismarckiana; ma, nonostante il parere contrario dell'ambasciatore tedesco presso il Quirinale, R. von Keudell, essa era stata voluta personalmente da Bismarck. Questi, colpendo il corrispondente. del Diritto, organo ufficioso della Consulta, mirava in realtà al ministro degli Esteri italiano, P. S. Mancini, colpevole ai suoi occhi di non aver aderito del tutto alle tesi tedesche nelle recenti vicende internazionali, specialmente nella conferenza sull'Africa occidentale aperta a Berlino il 15 nov. '84.
Il provvedimento provocò reazioni indignate in tutta la stampa europea (se ne veda una rassegna, minuziosa eppure non esauriente, nel Diritto, 10 genn. 1885), non esclusa quella tedesca, in cui la Norddeutsche Allgemeine Zeitung, ispirata da Bismarck, rimase pressoché isolata a difenderne la fondatezza. Ma al C. non fu difficile dimostrare che le accuse a lui mosse dalla gazzetta berlinese erano "aus der Luft gegriffen" (IlDiritto, 12 genn. 1885).
L'incidente ebbe risonanza nelle aule del Parlamento italiano, dove Mancini si trovò costretto a rispondere, in modo imbarazzato e reticente, alle interrogazioni del senatore S. Majorana Calatabiano (Atti parlamentan, Senato del Regno, Discussioni, legisl. XV, tornata del 10 genn. 1885, pp. 3002-3006) e del deputato L. Chiala (ibid., Camera., Discussioni, legisl. XV, tornata del 15 genn. 1885, pp. 10627-10630). Non meno circospetto si mostrò il Diritto nel fornire e commentare la notizia (2-3, 5, 8 genn. 1885).
Il decreto di espulsione venne revocato nel 1891, dopo che Caprivi fu succeduto a Bismarck nel cancellierato, ma in questi anni restò viva nel C. l'ammirazione per il mondo tedesco in tutti i suoi aspetti; tra l'altro, tradusse il romanzo del narratore naturalista P. Lindau, Arme Mädchen (Berlin-Stuttgart 1887), col titolo Ragazze povere (Milano 1890).
Il 6 nov. 1892 fu eletto deputato dal collegio di Militello (Catania), grazie anche.al favore del governo diretto da Giolitti, cui egli vincolò definitivamente le sue fortune politiche, pur conservando legami con Crispi e simpatie per Sonnino. Rieletto nel maggio 1895, cadde nel marzo 1897 per la ostilità del governo Rudinì, ma l'elezione del suo avversario, E. Caffarelli, fu annullata dalla Camera dopo un lungo e acceso dibattito, a causa della gravi irregolarità riscontrate nelle operazioni di voto (Atti parlamentari, Camera, Discussioni, legisl. XX, 2ª sessione, tornata del 3 maggio 1899, pp. 3911-3925). Rientrato nella Camera alla fine del secolo, vi rimase fino al 1919, sempre eletto dal collegio di Militello, spesso dopo rissose competizioni elettorali che lo opposero a contendenti sostenuti da G. De Felice Giuffrida, e che vennero accompagnate da denunce all'autorità giudiziaria, da echi parlamentari (si veda per es., ibid., legisl. XXII, tornata dell'8 dic. 1908, pp. 24409-24413), e da furibonde polemiche giornalistiche tra La Sicilia, quotidiano catanese fondato nel 1901 e diretto nei primi anni di vita da G. Simili, nipote, del C., e il defeliciano Corriere di Catania.
Con particolare violenza si scontrarono cirmeniani e sostenitori di G. Costa nelle elezioni del 7 marzo 1909, e ancora una volta la Camera annullò il responso delle urne, che assegnava la vittoria a Costa, per proclamare deputato il C., dopo un'altra tempestosa discussione in cui De Felice Giuffrida dette sfogo al suo anticirmenismo (ibid., legisl. XXIII, tornata del 10 giugno 1909, pp. 2204-2228). Più regolare ma non meno, travagliata fu la elezione del C. nell'ottobre 1913 (La Sicilia, 15, 16, 19, 22, 24, 26, 29 ott. 1913).
Alla Camera il C. si occupò prevalentemente di politica estera., ma anche di problemi. della scuola e della giustizia. Ebbe una breve esperienza ministeriale, come sottosegretario alla Pubblica Istruzione, nel secondo gabinetto Fortis (24 dic. 1905 - 8 febbr. 1906). Dal 1906 al 1915 fu corrispondente romano della Stampa, sulle cui colonne interpretò, soprattutto, gli avvenimenti internazionali, con una competenza generalmente riconosciuta che gli derivava dalle relazioni personali in ambienti diplomatici austrogermanici e italiani, nonché dalla intimità con Giolitti, di cui era considerato portavoce ufficioso.
Tipico esponente del giolittismo parlamentare e giornalistico, paladino della Triplice, fautore della guerra libica ma risoluto neutralista allo scoppio dei conflitto europeo, amico di Rülow e intermediario tra lui e Giolitti nelle trattative volte a scongiurare l'intervento italiano a fianco della Intesa, il C. si attirò sarcasmi e invettive da G. Salvemini (Ilsocialista che si contenta, in Critica sociale, 1° marzo 1911, p. 65; Il problema delle alleanze, in L'Unità, 14 sett. 1912, p. 160), da L. Einaudi (E. Giretti-L. Einaudi, A proposito della Tripolitania. Ottimismo o pessimismo coloniale?, in La Riforma sociale, dic. 1911, p. 760), da A. Kuliscioff (F. Turati-A. Kuliscioff, Carteggio, III, pp. 685, 793; IV, p. 111), da B. Mussolini (IlPopolod'Italia, 10 aprile, 9 maggio 1915).
Durante la guerra, benché si astenesse dal giornalismo e limitasse l'azione di deputato - tuttavia aderì al gruppo di opposizione della "Unione parlamentare" (I Quarantacinque, in IlGiornale d'Italia, 15 ott. 1917) -, continuò ad essere uno dei bersagli preferiti dagli umori antigiolittiani (F. Martini, Diario, 1914-1918, a cura di G. De Rosa, Milano 1966, ad Indicem;F. Paoloni, Inostri "boches". Il giolittismo, partito tedesco in Italia, Milano 1916, pp. 31, 34, 72).
Non volle candidarsi nelle elezioni del novembre 1919, tanta era la sua avversione al sistema proporzionale, ma con il r.d. 20 ott. 1920, su proposta dei governo Giolitti, fu nominato senatore per la terza categoria. Intanto riprendeva l'attività pubblicistica Fome corrispondente parlamentare ed editorialista del Giornale dell'isola (25 luglio 1920) - questo quotidiano di Catania era a lui legato sin dalla fondazione alla quale aveva concorso, nel marzo 1915, G. Simili - e come collaboratore della Nuova Antologia (1920, 1921, 1928) e di Echi e commenti (1920-1928). Molto assidua fu la collaborazione a questo trimensile romano, fondato e diretto da A. Loria, sul quale egli condannò a più riprese l'atteggiamento punitivo della Francia nei riguardi della Germania, inasprito dal ritorno al potere di Poincaré, lodò le aperture distensive della Gran Bretagna e apprezzò le prime iniziative diplomatiche di Mussolini (si veda, per es., Francia ed Italia. 5marzo 1923; Dalle parole ai fatti., 5 febbr. 1924; L'ex ambasciatore inamovibile, 5nov. 1924).
Il suo impegno di senatore, già ridotto nella legislatura XXVI, si contrasse fino al silenzio nelle legislature XXVII, XXVIII e XXIX, al punto da non lasciare traccia negli indici delle discussioni degli Atti parlamentari. Però egli dette il contributo del suo voto a quella estrema battaglia liberale, condotta da E. Ciccotti, F. Ruffini e L. Albertini, che tentò di contrastare la riforma elettorale fascista (Atti parlamentari, Senato del Regno, Discussioni, legisl. XXVIII, tornata del 12 maggio 1928, pp. 10254, 10256).
Il C. morì a Roma il 2 febbr. 1935."

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[Dal Dizionario Biografico Treccani]