(Mineo, 2 maggio 1835 – Roma, 10 febbraio 1910)
C’è un piccolo museo, grazioso e prezioso, a Bezzecca in provincia di Trento. Raccoglie cimeli garibaldini, in ricordo della battaglia vinta dall’“Eroe dei due mondi” contro il generale austriaco Franz Kuhn von Kuhnenfeld nel 1866, e reperti legati alla Grande Guerra. Accanto al museo c’è una stradina pedonale, nulla di particolare se non fosse che è dedicata a un nome familiare ai menenini: via Lungassat Salvator Greco. Salvatore Greco? Sì, proprio quel Salvatore Greco a cui Mineo ha dedicato il viale che dalla Chiesa dell’Itria porta all’attuale Caserma dei Carabinieri.
C’è qualcosa di sorprendente che lega la nostra città a quella del trentino, la figura di un grande combattente, un uomo che gli amanti delle note retoriche definirebbero “eroe”. Ma chi era questo personaggio che ha meritato questo riconoscimento toponomastico in terre tanto lontane dal suo angolo di Sicilia?
Il Greco nacque, ultimo di sei figli, a Mineo il 2 maggio 1835, dall’usciere percettoriale (sostanzialmente un esattore che si occupava anche di pignoramenti) don Girolamo e da donna Ignazia Mandrà. La sua famiglia era discendente dei Chiaramonte, e lo stesso Greco aveva il titolo nobiliare di marchese di Valdina.[1] Il bambino nacque in casa nella Strada d’Itria (probabilmente via Trinacria) nel quartiere di San Pietro, cresciuto intraprese studi di chimica all’Università di Catania (si laureò nel 1862) e fu proprio nella città etnea che entrò in contatto con gli ambienti antiborbonici e aderì alla causa risorgimentale nel 1856. Nel 1862, uno dei capi della sollevazione contro le truppe del Borbone cacciò da Catania il generale duosiciliano Clary e, unitosi alla causa garibaldina, mise in fuga il generale De Rivera da Messina. Da quel momento le sorti del miniolo si unirono a quelle del Nizzardo. Tra le sue azioni anche quella di riportare all’ordine le rivolte d’ispirazione borbonica nei territori pedemontani dell’Etna.
Fece parte dello stato maggiore di Garibaldi e con lui combatté a Milazzo, sul Volturno (1860), sull’Aspromonte (1862), dove pare fosse al fianco di Garibaldi, prestandogli le prime cure quando questi fu ferito all’anca e al malleolo. Durante la Terza Guerra d’Indipendenza a Bezzecca (1866), malgrado la vittoria contro i volontari tirolesi, fu ferito e catturato, internato a Gradisca, dove pare avesse subito anche torture. Nel 1867 era Monterotondo e a Mentana, seguì Garibaldi anche nella campagna di Francia, dove combatté a Digione durante la guerra franco-prussiana del 1870-71.
Nel 1878 condusse una spedizione di volontari siciliani in appoggio al principe del Montenegro, Nicola I, contro l’Impero Ottomano.
Dopo la spedizione nei Balcani, Salvatore Greco si stabilì definitivamente a Roma, rilevando la “Sala d’Armi” del maestro Gaetano Emanuele, marchese di Villabianca, in via del Seminario. La “Sala”, dopo la sua morte fu gestita dai figli Agesilao (1866-1963) ed Aurelio Greco (1879-1954).
Morì a Roma il 10 febbraio 1910.
Era, come testimonia il pronipote Giuliano Musumeci Greco,[2] persona di grande riservatezza e modestia, malgrado una vita così intensa di avvenimenti. Aldilà della retorica, si incontra una sincera ammirazione verso questo menenino, da parte del commissario prefettizio Nava al comune di Messina, che il 22 Aprile 1922 scriveva: “Il prode garibaldino Salvatore Greco dei Chiaramonte diede numerose prove del suo valore e del suo patriottismo in questa città dedicando al riscatto della Sicilia il suo forte braccio e il suo nobile cuore” o da parte del rettore dell’università di Catania e presidente della Società di Storia Patria di Palermo, Vincenzo Casagrande (febbraio 1925): “La nostra società di storia patria s’inchina dinnanzi a Colui che si mostrò pronto a tutti i cimenti per la conquista dell’ideale di libertà e di giustizia e che fu uno degli antisignani inviati da Dio nelle ore più solenni dei destini d’Italia”.
Nel 1925 il Regio Commissario di Roma (745a deliberazione) accettò e collocò al Pincio il busto di Salvatore Greco dei Chiaramonte. Il busto, opera dello scultore Pietro Piraino (1878-1950), era stato offerto in dono dalla città di Mineo.[3] La sua città d’origine lo ricorda attraverso la dedica del viale nel quartiere Itria e ad un pannello posto nell’aula consiliare.
Salvatore Greco fu un notevole schermidore e suoi degni eredi furono Agesilao e Menandro Greco. Agesilao Greco fu uno dei più celebri schermitori di tutti i tempi, mentre il secondo fu poeta e critico letterario.
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[1] I Greco sono attestati come Marchesi di Valdina al n°1149 del Bollettino della Consulta araldica, un don Giuseppe Greco, palermitano, marchese di Valdina, fu investito del titolo nel 1752 (il titolo era dei Vigo fino al 1751). Nella guida Monaci del 1915 il figlio di Salvatore, Menandro è appellato marchese di Valdina. Il padre di Salvatore, Girolamo in qualità di usciere percettoriale (sostazialmente un esattore che si occupava anche di pignoramenti) fu testimone in una causa sui diritti comuni sul feudo Monaci che contrappose il comune di Mineo al Monsignor Abate di Santa Maria di Gala Giuseppe Crispi, vescovo di Lampsaco e zio di Francesco. Le vicende della famiglia Greco e Crispi, dunque, si incroceranno in epoca risorgimentale, quando Salvatore volle incontrare Francesco nel 1859 appena rientrato in Sicilia. Altri comuni della provincia di Catania dichiarano di aver dato i natali a Salvatore Greco, ma in base ai registri comunali non ci sono dubbi sul luogo di nascita.
[2] Giuliano Musumeci Greco, “In guardia! Storie di duelli dal primo all’ultimo sangue nelle multinazionali dell’automobile”, Sovera Edizioni, 2009.
[3] Altre fonti, sicuramente inesatte, dicono che l’opera fu offerta da una non meglio definita Associazione di siciliani a Roma.